Non potevo più
temporeggiare: ecco, quindi, l’articolo sulle radio PPM
e PCM. Questa volta, però, l’argomento un po’ più
complesso dei precedenti mi ha costretto ad
un’esposizione degli aspetti teorici appena più completa
e rigorosa del solito; mi auguro che anche voi lettori
(almeno quelli che arriveranno a leggere tutto
l’articolo...) alla fine converrete che valeva la pena
d’impegnarsi un po’ di più nel prologo, per poi scoprire
come va a finire!
Un po’ di storia
La maggioranza dei “non addetti ai lavori” tende oggi ad
associare il mondo analogico con quello dell’elettronica
classica (radio, televisione, telefonia), e ritiene le
tecnologie digitali strettamente imparentate con le
applicazioni più moderne (calcolatori, trasmissione
dati, robotizzazione); ciò non è del tutto esatto.
Effettivamente l’elettronica nasce, con l’invenzione
della valvola termoionica (madre del transistor, nonna
del circuito integrato...), strettamente lineare (cioè
analogica), e le prime applicazioni riguardano
essenzialmente le comunicazioni; successivamente,
s’iniziano a studiare circuiti elettronici in grado di
effettuare calcoli matematici, anche complessi, in modo
rapido ed efficiente. Questa tecnologia raggiunge il suo
massimo sviluppo nel periodo che precede la IIa guerra
mondiale: come sempre (purtroppo, mi sia consentito
aggiungere), solamente le esigenze belliche sembrano
spingere la ricerca al limite delle possibilità
tecniche. Questa generazione di potenti “calcolatori
analogici” venne infatti utilizzata sulle navi militari,
allo scopo di effettuare i calcoli che consentono di
ottenere i dati necessari al puntamento delle
artiglierie imbarcate; infatti le centrali di tiro
debbono elaborare una grande quantità di informazioni
(rotta e velocità della nave attaccante, rotta e
velocità della nave bersaglio, direzione e intensità del
vento, periodo del rollio...) nel più breve tempo e con
la massima precisione possibile. I dati sul tonnellaggio
del naviglio distrutto nel corso degli anni ‘40 - ’45
confermano che l’obbiettivo fu pienamente raggiunto: ma
la complicazione di progettazione, manutenzione e
utilizzo di queste “macchine diaboliche”, irte di
quadranti graduati, nonii, interruttori e indicatori
convinse i progettisti dell’epoca che la tecnologia
analogica, nel campo dell’elaborazione dei dati, aveva
raggiunto il suo apice, ed occorreva pensare a qualcosa
di totalmente nuovo. Questo “qualcosa” fu trovato, e
segnò l’inizio della tecnologia digitale; vediamo,
dunque, cosa significa tutto ciò.
e un po’ di teoria
(N.d.A. - la lettura di questo paragrafo è assolutamente
vietata ai puristi!) Prendiamo una batteria, ad esempio
quella che utilizziamo nel nostro ricevitore per
radiocomando, e colleghiamola ad un comune tester a
lancetta, analogico, per l’appunto; vedremo l’ago
fermarsi su una posizione della scala, e leggeremo,
poniamo, 5 volt. Poi, guardando meglio, cercheremo di
apprezzare quanto valgono gli spazi tra le tacche della
scala graduata, e saremo in grado di affermare che la
batteria sta erogando 5,5 volt; è facile comprendere
che, utilizzando un ipotetico strumento con l’indice
lungo un metro, e dotato di una scala graduata
conseguentemente larga, saremmo in grado di leggere, ad
esempio, 5,543 volt. Questo significa che, in uno
strumento elettronico analogico, la precisione dipende
solo dalla bontà di realizzazione dello stesso, dalla
sua stabilità e dalle capacità dell’operatore che lo usa
(una buona vista, nel nostro caso...): non ci sono
limiti, dal punto di vista teorico, alla possibilità di
rappresentare qualsiasi valore, senza soluzione di
continuità, appunto in modo lineare o, come si dice in
elettronica, in modalità analogica. Connettiamo invece
la stessa batteria ad un multimetro digitale: un modello
commerciale ci offrirà una lettura con due decimali,
vedremo perciò apparire le cifre 5.54; abbiamo un dato,
certamente sufficientemente preciso per i nostri scopi
hobbystici, ma, utilizzando uno strumento di quella
classe, non potremo mai conoscere la terza cifra
decimale... Perché, allora, nel volgere di pochi anni,
il mondo digitale ha preso il sopravvento su quello
analogico, in tutte quelle applicazioni in cui ciò è
stato possibile? I motivi, ovviamente ci sono, e ben
validi: vediamoli insieme. Riprendiamo in esame il
“calcolatore analogico navale”, studiato nel corso di
storia... per poter elaborare i dati relativi a
velocità, rotta, ecc., questi venivano inizialmente
convertiti in valori di tensione proporzionali alle
grandezze da esaminare (ad esempio, ogni nodo di
velocità, un volt), e poi “dati in pasto” ai circuiti
elettronici successivi, destinati a sommarli, sottrarli,
moltiplicarli, ecc., con le altre grandezze da
introdurre nei calcoli. Fin qui, tutto semplice e
chiaro; dov’è, allora, che nasce il problema? Nasce dal
fatto che i circuiti elettronici analogici non possono
comportarsi, nella realtà, così come li fa nascere,
sulla carta, il progettista con i suoi calcoli:
intervengono errori (detti, in gergo, “derive”) dovuti
alla variazione della temperatura operativa,
all’invecchiamento dei componenti, alle oscillazioni
della tensione che alimenta i circuiti, e a molti altri
fattori. In circuiti sufficientemente semplici si
applicano le cosiddette “compensazioni”, e il tutto
funziona in modo accettabile; ma quando la complessità
cresce oltre un certo limite, l’enorme numero delle
compensazioni da introdurre porta ad una sicura, e
fatale, instabilità del tutto. Proprio a questo punto
prese corpo l’idea di convertire subito le grandezze da
introdurre in valori numerici, per poi poterle elaborare
eseguendo i normali calcoli, cioè sommando, sottraendo,
moltiplicando, ecc. direttamente numeri; e i numeri, si
sa, non subiscono “derive”... occorreva solo la macchina
adatta. Nasceva così il calcolatore numerico, o (il che
è lo stesso) digitale. Prima di terminare questa parte
introduttiva, ci resta da capire come questi valori
numerici vengano “dati in pasto” al calcolatore, e in
che modo questo li elabori al suo interno. Dal momento
che tutti i circuiti utilizzati dalla logica digitale
possono assumere solo due stati, cioè i valori 0 oppure
1, è necessario impiegare un sistema di numerazione
adatto: questo si chiama “sistema binario”. Per
comprendere come funziona, utilizziamo un esempio che
impiega il più semplice componente elettronico,
“binario” per antonomasia: l’interruttore, che per
l’appunto può trovarsi solo nei due stati, acceso o
spento, corrispondenti a 1 oppure a 0 logico. Abbiamo
davanti a noi il “discendente” del “calcolatore
analogico navale”, cioè il nuovo “calcolatore digitale
navale”, e vogliamo introdurre una valore da elaborare
(ad esempio, velocità in nodi, in una scala da 1 a 16),
ovviamente in forma numerica: come potremmo procedere?
La prima idea, probabilmente, sarebbe quella di
utilizzare un pannello con 16 interruttori, e 16 led.
Nel caso illustrato abbiamo evidentemente inserito il
valore 5. Ragionando un po’, si scopre che questo tipo
di codifica (detta “posizionale”) non rappresenta
proprio il massimo dell’efficienza; senza voler
ripercorrere tutto il cammino della logica binaria,
vediamo che il modo più “sintetico” per rappresentare un
numero utilizza la codifica detta “ponderale”. Abbiamo
davanti un nuovo pannello, con soli 4 interruttori e 4
led in grado di rappresentare tutti i numeri da 0 a 15;
per capire come funziona, basta sommare i valori
attribuiti ai led accesi dai rispettivi interruttori:
anche in questo caso, il valore rappresentato è 5 (4+1).
E’ facile immaginare come sia possibile rappresentare,
estendendo quanto visto finora, numeri più grandi: ad
esempio, utilizzando un pannello con 8 interruttori e 8
led possiamo arrivare al valore di 255; il valore
rappresentato sopra è 85 (64+16+4+1). Ebbene,
probabilmente non ve ne sarete ancora accorti, ma avete
imparato tutto quello che c’è da sapere per ragionare in
termini “digitali”. La posizione (0 o 1) degli
interruttori visti negli esempi precedenti simboleggia
il famoso “bit”, l’unità basilare della notazione
binaria; il pannello con otto interruttori rappresenta
l’onnipresente “byte”, elemento fondamentale di tutti i
circuiti basati su microprocessori. D’ora in poi, ad
esempio, vi sarà facile affermare che il valore binario
10010010 rappresenta il decimale 146, e, applicando le
regole del riporto uguali a quelle che si utilizzano
nella normale aritmetica, verificare che: 01011100 +
10010001 = 11101101 il che equivale a: 92 + 145 = 237.
Coloro che possiedono un personal computer equipaggiato
con Windows 95 (o versioni successive) possono aprire
(selezionando programmi, poi accessori) la calcolatrice
gentilmente offerta da Bill Gates. Selezionandone la
modalità “scientifica”, potranno facilmente esercitarsi
ad effettuare conversioni tra i due sistemi di
numerazione, decimale e binario. Ed ora, finalmente, mi
accingo a dimostrarvi (almeno, così spero...) che tutto
quello che avete faticosamente letto finora non era poi
completamente inutile.
I nostri radiocomandi: PPM o PCM?
Anche il radiocomando proporzionale, come il
“calcolatore navale”, è nato puramente analogico; e tale
è rimasto anche quando sono state aggiunte le prime,
rudimentali possibilità di programmazione e miscelazione
di alcune funzioni (ad esempio: inversione del senso di
rotazione dei servi, associazione del movimento del
direzionale a quello degli alettoni). In seguito,
l’esigenza di offrire sempre nuove, e più sofisticate
possibilità operative, ha spinto anche in questo campo i
costruttori a passare alla modalità digitale, dando così
inizio all’era dei sistemi “computerizzati”. Attualmente
la quasi totalità degli apparati per radiocomando in
commercio, con la sola eccezione delle radio più
semplici ed economiche, funziona impiegando
microprocessori, più o meno complessi; ma il fatto di
utilizzare tecnologie digitali nella fase di
elaborazione dei comandi non ha nulla a che vedere con
la modalità di trasmissione del segnale radio, cioè con
la modulazione, che può essere PPM (Pulse Position
Modulation = modulazione a posizione d’impulsi) o PCM (Pulse
Code Modulation = modulazione a codifica d’impulsi).
Anzitutto, per non ripetermi, consiglio di rileggere
l’articolo “Parliamo di servi”; qui viene spiegato in
che modo vengono codificati gli impulsi, trasmessi dalla
radio, destinati a posizionare i servi connessi al
ricevitore in un ipotetico radiocomando di tipo
semplice, cioè completamente analogico. Vediamo ora di
chiarirci bene le idee sulla modulazione; per prima cosa
esaminiamo lo schema a blocchi di un moderno sistema PPM.
La posizione assunta da ciascuno stick di comando posto
sul trasmettitore genera una tensione proporzionale
(analogica) tramite il potenziometro ad esso associato;
il convertitore analogico-digitale provvede a
trasformare tali tensioni in valori numerici (digitali).
Questi dati vengono inviati al microprocessore, che li
elabora per mezzo del programma in esso contenuto,
tenendo conto anche del modello selezionato e delle
relative miscelazioni impostate dall’utente. I risultati
così ottenuti sono inviati al convertitore
digitale-analogico, che provvede a ricreare i consueti
impulsi, di durata compresa tra 1 e 2 millisecondi,
destinati a pilotare i servi; occorre notare che questi
segnali non sono più strettamente di durata
proporzionale alla posizione degli stick, poiché il loro
valore è stato “corretto” dai parametri, relativi al
modello in uso ed alle relative miscelazioni, presenti
nella memoria del trasmettitore. Il multiplexer provvede
a “serializzare” (cioè a mettere in sequenza) gli
impulsi da inviare a ciascun servo, ed il modulatore
trasmettitore genera il segnale a radio-frequenza da
inviare all’antenna. Nella ricevente, lo stadio
ricevitore-demodulatore provvede a decodificare il
segnale radio, e lo converte nel solito treno d’impulsi;
il demultiplexer separa ciascun impulso della catena, e
provvede ad inviarlo al relativo servo. Prendiamo ora in
esame lo schema a blocchi di un sistema che opera in
PCM. Per quanto riguarda il trasmettitore, occorre
notare che non viene più effettuata la conversione
digitale-analogica prima dello stadio modulatore: di
conseguenza, il segnale a radiofrequenza emesso viene
ora modulato direttamente dai valori numerici che
rappresentano la posizione che ciascun servo dovrà
assumere. Nel ricevitore questi dati, dopo essere stati
ricostruiti dal demodulatore, vengono inviati ad un
microprocessore, che li elabora, e provvede poi a
generare i singoli impulsi, sempre di durata compresa
tra 1 e 2 millisecondi, destinati a pilotare i servi.
Non è facile, a colpo d’occhio, individuare gli
eventuali vantaggi di questa configurazione; occorre
infatti, a questo punto, introdurre un nuovo concetto:
il controllo della validità dei dati ricevuti. Nel
sistema PCM, al termine di ogni “stringa” di dati (la
sequenza dei byte che contengono le informazioni
relative alla posizione di tutti servi da pilotare), il
microprocessore presente nel trasmettitore aggiunge un
particolare byte, opportunamente calcolato a partire dai
singoli byte presenti nella stringa relativa, denominato
“checksum” (somma di controllo); il microprocessore
posto nel ricevitore, al termine della ricezione di
ciascuna stringa, ricalcola la checksum, e la confronta
con quella ricevuta via radio: se i due valori
coincidono, la stringa viene processata, e sono generati
i conseguenti impulsi destinati ai servi; altrimenti
viene scartata. A questo punto, siamo in grado di fare
un po’ di chiarezza circa le tante affermazioni che
spesso ascoltiamo frequentando i campi di volo...
Anzitutto, il sistema PCM non è immune dai disturbi (se
qualcuno pensa di essere in grado di ricostruire un dato
non ricevuto, si faccia pure avanti: il Nobel lo
aspetta!): semplicemente, è in grado di accorgersi
quando ha ricevuto dati corrotti da disturbi o
interferenze. Venendo finalmente ai nostri modelli, ciò
significa che non vedremo più movimenti saltuari ed
inconsulti di qualche servo, dovuto a segnali impulsivi
interferenti, purché questi siano di breve durata: se,
infatti, l’assenza di stringhe valide permane per un
determinato numero di cicli consecutivi (questo valore
viene fissato dal costruttore e non è modificabile),
subentra un altro meccanismo di sicurezza, detto “Fail
Safe”. Se questa funzione è stata attivata dal
modellista sul proprio sistema, quando il ricevitore si
accorgerà di aver perso irrimediabilmente il segnale
emesso dal trasmettitore, piloterà automaticamente
ciascun servo fino a fargli raggiungere la posizione che
gli è stata assegnata durante la configurazione della
funzione Fail Safe. Terminata la trattazione tecnica del
PCM, sorge spontanea la domanda: quanto sono utili nella
pratica, queste prestazioni aggiuntive? Ognuno di voi,
ormai, è in grado di trarre le proprie, personali
conclusioni; voglio però raccontare un breve episodio
personale. Poco dopo aver lanciato uno slow-flyer,
equipaggiato con un micro RX PPM, ho cominciato a notare
strani movimenti del direzionale, seguiti da un non
richiesto incremento di giri del motore; mi sono subito
accorto di non aver estratto l’antenna del TX, e ho
posto prontamente rimedio all’errore. Se avessi
utilizzato un apparato PCM, il sistema avrebbe scartato
i comandi ricevuti in modo non corretto, fino a perdere
il collegamento radio; non essendo stato messo
sull’avviso dal comportamento anomalo del modello, sarei
stato in grado di accorgermi ugualmente dell’errore in
tempo utile? Per quanto riguarda la modalità Fail Safe,
la ritengo effettivamente utile per ridurre le
conseguenze di un’eventuale perdita di controllo, in
particolare per quanto riguarda modelli dotati di una
certa riserva di autostabilità; certo, che nessuno pensi
di poter salvare dalla catastrofe un elicottero che
perda il collegamento radio mentre vola in hovering
rovescio... Personalmente, penso che gli apparati PCM
attualmente in commercio rappresentino una fase di
transizione tra i sistemi completamente analogici,
destinati prima o poi a scomparire, ed una nuova
generazione di radiocomandi completamente digitali,
circa i quali voglio esprimere qualche previsione prima
di concludere quest’articolo; diamo, perciò...
Uno sguardo al futuro
Esaminiamo quello che (penso) sarà il nostro prossimo
radiocomando. Nel trasmettitore, i potenziometri,
componenti meccanici soggetti ad usura ed
invecchiamento, sono stati sostituiti dagli encoder
ottici digitali: questi componenti sono in grado di
trasformare l’angolo cui viene ruotato l’alberino di
comando in un dato digitale, direttamente inviato al
microprocessore, eliminando così il convertitore
analogico-digitale, a tutto vantaggio della stabilità e
della precisione. Per quanto riguarda il ricevitore,
devo anzitutto spiegare il significato della dicitura
“servi completamente digitali” che compare nello schema
a blocchi. I nuovi modelli di servi, recentemente
commercializzati con l’appellativo “digitali”, sono in
realtà ibridi, cioè in parte realizzati con tecnologia
digitale, in parte con tecnologia analogica. La novità,
rispetto ai servi tradizionali, consiste nell’aver
utilizzato un microprocessore per controllare il
micromotore; ciò consente un netto miglioramento delle
prestazioni, dal momento che in tal modo è possibile
variare la velocità di rotazione della squadretta di
comando, mantenendola elevata all’inizio del movimento,
per poi rallentarla quando sta per essere raggiunta la
posizione di destinazione, in modo da conciliare le
esigenze di alta velocità ed elevata precisione. Ma, per
mantenere la compatibilità con le riceventi oggi
universalmente impiegate, il pilotaggio avviene ancora
con l’impulso di durata variabile tra 1 e 2 millisecondi:
in altre parole, in questo stadio circuitale è ancora
presente, comunque, un segnale di tipo PPM! Nello schema
da me proposto, invece, ipotizzo l’impiego di una nuova
generazione di servi, completamente digitali, anche nei
segnali di pilotaggio; di conseguenza, sui connettori
del ricevitore destinati al collegamento dei servi, sono
presenti non più gli impulsi di durata variabile, ma
dati in formato digitale. In conclusione, vediamo come
non siano più presenti stadi analogici: la migrazione al
mondo digitale è finalmente completa! Quando sarà pronta
questa nuova meraviglia? Personalmente, sono convinto
che nel cassetto dei più importanti costruttori di
radiocomandi siano già presenti circuiti e prototipi; la
tecnologia attuale consente lo sviluppo di simili
apparati senza particolari difficoltà. Piuttosto,
occorre constatare che l’introduzione di questi nuovi
radiocomandi comporterà la sostituzione totale di una
grande quantità di materiale (riceventi, servi...)
attualmente posseduto da ciascun modellista; di
conseguenza, i costruttori staranno certamente
sviluppando accurate valutazioni di marketing, prima di
commercializzare un prodotto destinato ad avere un così
grosso impatto sul mercato modellistico.
Ultime note
Mi accorgo che stavolta il discorso è stato
particolarmente lungo; comunque l’aver illustrato, oltre
i sistemi PPM e PCM, anche i rudimenti della tecnologia
digitale, tornerà utile a tutti i modellisti, dal
momento che l’utilizzo dei microprocessori si estenderà
sempre più nel prossimo futuro. Non accludo una
bibliografia, perché la vastità degli argomenti cui
abbiamo accennato comporterebbe la necessità di allegare
l’intero elenco dei volumi presenti in una biblioteca
universitaria. Piuttosto, se qualche lettore avvertirà
l’esigenza di approfondire un particolare argomento
cercherò di indirizzarlo adeguatamente; spero di essere
in grado di rispondere, perché nel frattempo ho sentito
dire che la setta dei puristi sta cercando di assoldare
un killer, per gambizzarmi...
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